Valerio Bellone - Photography

Mare di terre

The photos are a low-resolution to speed up web viewing.

Year – 2012

Location – Italy: Sicily

Story

Halfway along the A19 highway that connects Palermo and Catania, my journey through time began to discover forgotten landscapes. During my journey, the images I captured from the car tell the story of an old rural Sicily, a sea of lands, cultivated fields, and isolated hills, changing color with the passing of the seasons, sculpting ever-changing bodies of nature through shadows over time. Along this route, I rediscovered the identity of landscapes familiar to those who lived in inland Sicily until 1950, before the economic boom, close and tangible to those that served as the backdrop for many of Robert Capa’s black-and-white shots during the war in 1943.

Even today (2024), the photos highlight the complexity of the tapestry that the landscape itself encompasses within the sharp lines of geometric boundaries. Without shame, the landscapes revealed themselves in front of the lens, unveiling fascinating and evocative images of authentic beauty: like the furrows of tractors in the fields drawing soft, parallel lines that contribute to the definition of chiaroscuro along with the vibrant light of the valleys.


OPEN AIR

2013, by Marcello Faletra

Traveling implies a total involvement of the senses. Enthusiasm, wonder, surprise, are there to accompany the eye in its vicissitudes. And it is known that the eye has no fixed abode. Its crime? Being constantly tempted by the outside. The eye always exceeds the body that hosts it. And photography is the artifice through which a photographer objectifies every excess.
Thus, in front of the landscape – but also in front of nature where it still survives – in front of the spatial expanses that separate the two ends of Sicily, expanses captured “on the fly,” one might say, from a car, there is the perception of an infinite spatial reserve uncontaminated by urban brutality. Spaces inhabited by gentle slopes, expanses where nostalgic distances echo, fragments of hills that suggest mystical roundness. A whole landscape that is the removed icon of the urban imagination populated by a-prospective spaces, with no place left to fix a memory.
These photos by Valerio Bellone tell of a timeless landscape that inhabits the vastness of the hills, plunging headlong along the highway. And sometimes it swallows it. But they also tell of the geological monumentality of Sicily; thus of its metaphysical trait, as opposed to the jagged excrescence that characterizes the alpine landscape. Perhaps it is these gentle reliefs that offer the best idea of what a rural culture is and has been. Sequences of anthropological languages crystallized in the roundness of the hills, the result of inevitable erosions, millennia of sedimentations, whose transversal geological depth emerges on the surface of the photographic image. In these landscape photographs, geology and metaphysics converge at the same point: it is the eye that captures in a flash the entire infinity of a lyricism of nature transformed into a landscape performed in the open air.
And since these photos were taken at speed during a journey between two cities, how can we not think that it is in speed itself that, not only in physics but also in vision, the creation of pure objects occurs.
Because every pure object erases territorial references. It traces back the course of time to annul it.
The rapidity of the photographic shot, amplified by the speed of the car, annuls every material cause of that landscape – every material anthropology – to celebrate the effect on the cause, the fleeting appearance as such. In Roland Barthes’ words, it could be said that we are facing a message without a code, revealing all the truth of surfaces that dance before the traveler’s eye in transit.
Their existence reaches us beyond the violence of the depth of history.

Racconto

A metà percorso dell’autostrada che porta da Palermo e Catania, la A19, iniziò il mio viaggio nel tempo alla scoperta di panorami dimenticati. Durante la mia traversata le immagini che catturo dall’autovettura raccontano una vecchia Sicilia rurale, un mare fatto di terre, campi coltivati e colline isolate, che cambia colore con il passare delle stagioni, scolpendo nel tempo, attraverso le ombre, corpi di natura sempre diversi. Lungo questo percorso ritrovai l’identità dei paesaggi noti a chi visse la Sicilia dell’entroterra sino al 1950, prima del boom economico, vicini e tangibili a quelli che fecero da cornice a molti scatti in bianco e nero di Robert Capa durante la guerra nel 1943.

Le foto ancora oggi (2024) mettono in luce la complessità della trama che lo stesso paesaggio racchiude dentro le linee nette di geometrici confini. Senza pudore i paesaggi si spogliarono davanti l’obiettivo svelando affascinanti ed evocative immagini d’autentica bellezza: come i solchi dei trattori nei campi che disegnano linee parallele e morbide che contribuiscono alla definizione dei chiaroscuri insieme alla luce vibrante delle valli.


A CIELO APERTO

2013, di Marcello Faletra

Viaggiare implica un totale coinvolgimento dei sensi. Entusiasmo, stupore, sorpresa, sono lì a fiancheggiare l’occhio nelle sue vicissitudini. E si sa che l’occhio non ha fissa dimora. Il suo crimine? Essere sempre tentato dal fuori. L’occhio eccede sempre il corpo che lo ospita. E la fotografia è l’artificio col quale un fotografo oggettiva ogni eccesso.
Così di fronte al paesaggio – ma anche di fronte alla natura là dove essa ancora sopravvive – di fronte alle distese spaziali che separano le due estremità della Sicilia, distese riprese “al volo”, si direbbe, da un’auto, si ha la percezione di un’infinita riserva spaziale incontaminata dalla brutalità urbana. Spazi abitati da dolci declivi, distese dove riecheggiano lontananze nostalgiche, frammenti di colline che suggeriscono rotondità mistiche. Tutto un paesaggio che è l’icona rimossa dell’immaginario urbano popolato da spazi a-prospettici, senza più un luogo dove possa fissarsi una memoria.
Queste foto di Valerio Bellone raccontano un paesaggio senza tempo che abita nell’immensità delle colline che precipita a capofitto lungo l’autostrada. E a volte la inghiotte. Ma raccontano anche della monumentalità geologica della Sicilia; dunque del suo tratto metafisico, opposto all’escrescenza frastagliata che connota il paesaggio alpino. Sono, forse, questi dolci rilievi a offrire l’idea migliore di quello che è ed è stata una cultura contadina. Sequenze di linguaggi antropologici cristallizzati nelle rotondità delle alture, frutto di erosioni ineluttabili, sedimentazioni millenarie, la cui trasversale profondità geologica, affiora nella superficie dell’immagine fotografica. In queste fotografie di paesaggi, geologia e metafisica convergono nello stesso punto: si tratta dell’occhio che coglie in un baleno tutta l’infinità di una lirica della natura trasformata in paesaggio che si effettua a cielo aperto.
E dal momento che queste foto sono state scattate a velocità durante un viaggio tra due città, come non pensare che proprio nella velocità si realizza, non solo nella fisica, ma anche nello sguardo, la creazione di oggetti puri.
Perché ogni oggetto puro, cancella i riferimenti territoriali. Risale il corso del tempo per annullarlo.
La rapidità dello scatto fotografico amplificato dalla velocità dell’auto, annulla ogni causa materiale di quel paesaggio – ogni antropologia materiale – per celebrare l’effetto sulla causa, l’apparenza fulminea in quanto tale. Con le parole di Roland Barthes, si direbbe che ci troviamo di fronte a un messaggio senza codice, che rivela tutta la verità delle superfici, che danzano davanti all’occhio in transito del viaggiatore.
La loro esistenza ci arriva oltre la violenza della profondità della storia.

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